Filippo Ramondino

 

I CALVARI NELLA STORIA E NELLA PIETA’ POPOLARE

 

Conferenza nella chiesa parrocchiale di Mesiano di Filandari, 13 settembre 2024

 

Voglio partire da una annotazione presa dal Diario del vescovo mons. Antonio Maria De Lorenzo, siamo nel 1889. E’ alla conclusione della visita pastorale a Feroleto, leggiamo: «…lasciammo il paese, accompagnati dal popolo con molte dimostrazioni d’affetto. Fuori la terra, presso il cosiddetto Calvario,  che trovammo messo con elegante lindura, montammo a cavallo, tornando verso Plaesano» (p. 135).

Allora la nostra diocesi comprendeva anche queste zone del reggino.  Il calvario, trovandosi ai margini dei paesi, era spesso il primo luogo di incontro e poi di saluto col Vescovo. Già quando racconta il suo ingresso in diocesi scrive: «Si smontò al Calvario del sud (cioè  nei pressi di Paravati), dov'era formato il primo padiglione. Mi pigliai gli abiti corali…» (p.114).

 

    1.     IPOTESI SULLE ORIGINI DI QUESTI MONUMENTI SACRI

L’uso di erigere negli spazi dei paesi, cappelle  o  edicole o monumenti che richiamano, con scene dipinte o scolpite, il calvario, il santo sepolcro o altri luoghi della passione di Cristo risale certamente  all’epoca delle Crociate, tra  XII e XIV secolo, quando i crociati e i pellegrini, tornando dai luoghi santi,  curavano di trasmettere ai fedeli la devozione ai misteri della passione di Cristo.

 

In certo modo dimostrano anche qualcosa che va oltre la stessa critica manualistica al fenomeno delle crociate, che devono essere ricondotte sempre alla radice dell’elemento dinamico di una societas christiana, ovvero la fede, come stretto legame a Cristo. Il fatto che i luoghi della vita storica di Gesù rischiassero di non essere più agibili ai pellegrini per l’occupazione dei turchi, toglieva alla cristianità medievale una espressione fondamentale della memoria storica di Cristo. Lo stesso San Francesco, nel dialogo col Sultano, legittima la crociata come atto d’amore al nome di Cristo che non può essere bestemmiato e come atto di giustizia in quanto occasione di conversione per i suoi nemici.

 

Dunque, Calvario e Pellegrinaggio hanno qui un particolare richiamo ed incontro come fenomeno religioso. Qualche studioso parla di “pellegrinaggio sostitutivo “, che si diffuse anche in Calabria, soprattutto dopo che non fu più possibile andare in Terra Santa a causa dei Turchi. A cura di qualche devoto, cioè, vengono riprodotti in scala ridotta i luoghi santi più significativi.

 

A queste opere si aggiunse il pio esercizio della via crucis  molto propagato fra le popolazioni dai frati minori di San Francesco d’Assisi, che rappresenta un capolavoro della pietà popolare.

 

Il riferimento  alla passione e alla via dolorosa percorsa dal Signore,  con le sue soste, e  il desiderio di visitare i luoghi santi, fin dai primi secoli del Cristianesimo, era condiviso da tutti i credenti. Ebbero appunto così origine i pellegrinaggi. Di qualcuno di essi possediamo  commoventi  racconti.  Il più antico è l’Itinerarium di una donna, Eteria. I pellegrinaggi in massa furono certamente favoriti dalla presenza dei Crociati nella Terra Santa. I loro racconti rafforzarono  nel popolo il sentimento religioso di voler di rivivere in qualche modo la passione del Signore. Benemeriti in questo senso furono i francescani custodi della Terra Santa,  figli di San Francesco d’Assisi. Contemporaneamente ebbero a tal fine pure inizio le sacre rappresentazioni, che sono la  forma iniziale della Via crucis attuale, che consta di  immagini, riflessioni,  preghiere e canti fin dal 1300. Per secoli restò famosa l’appassionata Via crucis composta da San Leonardo da porto Maurizio  (1676-1751), risuonano ancora nelle nostra chiese i noti versi di don Pietro Metastasio (1698-1782).

 

La Via crucis dapprima venne eretta in ogni città e successivamente fu concessa a tutte le chiese e cappelle.  L’autorità ecclesiastica  l’arricchì di  indulgenze. Sappiamo pure che,  per richiesta del Ministro Generale dei Minori osservanti, papa Innocenzo XI nel 1688, a Chiunque havrà seco alcuna Croce, Rosario, o Corona, che habbia toccato li Luoghi Santi, e Sacre Reliquie di Terra Santa, guadagnerà l’indulgenze, secondo le modalità esplicitate nel breve pontificio, (cfr. Prima dioecesana synodus Miletensis ab illustriss., et reverendiss. Domino d. Dominico-Antonio Bernardini patrizio Lycensi Dei, & Sanctae Apostolicae Sedis Gratia episcopo Miletensi, barone Galatri, &c. eidemque Sanctae Sedi immediate subjecto. Monteleone celebrata Diebus VIII. IX e X novembris Anno Domini MDCCV, tip. Maffei, Messina 1705, p.213).

 

Quanto il popolo cristiano di ogni epoca abbia in stima in particolare la Via crucis lo dimostrano le tavole delle stazioni che hanno visto impegnati artisti della pittura, della incisione del legno, ecc. Dalle Vie crucis sistemate nelle chiese si è passati  poi all’aperto,  lungo un percorso stradale,  ogni stazione è segnata da una edicola o monumento, sono particolarmente frequenti in case di spiritualità e presso santuari. E’il caso, per noi, l’itinerario  che parte dal cimitero di Rombiolo, o quelle più moderne a Mileto.

 

In alcuni paesi si pensò addirittura,  con maggior realismo,  di riproporre al vivo la Via crucis. Così un frate minore di nome Bernardo Caimi, nel XVI secolo,  che aveva avuto occasione di visitare i luoghi santi,  escogitò una nuova Gerusalemme sul Monte di Varallo, in una altura di circa 150 m dall’abitato,  vennero costruite ben 42 cappelle,  nel  cui interno furono riprodotte con pitture, e soprattutto con statue al naturale, scene della passione. Lo scopo era quello di coinvolgere più direttamente i fedeli nel dramma della passione. Dall’esempio di Varallo,  in Piemonte  e nella Lombardia,  ebbero appunto  origine i cosiddetti Sacri Monti, opere grandiose  realizzate col consenso e contributo del popolo e dei pellegrini, pensiamo alla Gerusalemme di San Vivaldo, presso Firenze ed altri complessi analoghi.

 

In Calabria, un esempio di “Gerusalemme traslata” si ha nel Santuario delle Cappelle di Laino Borgo, costruito da Domenico Longo dopo un suo pellegrinaggio in Terra Santa intorno alla metà del sec. XVI. In un terreno di sua proprietà ricostruì una serie di 14 cappelle che ritraggono edifici sacri di Gerusalemme. In particolare sono riprodotte, tra le altre, le cappelle del S. Sepolcro, del Presepio, della buca della S. Croce sul Calvario, del Sepolcro della Madonna, di S. Maria dello Spasimo (Addolorata). Ed è significativo, inoltre, che il santuario si trovi sulla linea del percorso “giubilare” verso Roma, ai confini tra la Calabria e la Basilicata, a ulteriore prova di una “sosta religiosa” che si collocava nelle adiacenze del passaggio tradizionale dei pellegrini diretti verso Roma (cfr. L.Renzo, Antichi percorsi viari dei pellegrini e ripercussioni dei Giubilei in Calabria, Convegno di Studio “Le vie dei pellegrinaggi. Storia e antropologia del viaggio religioso in Calabria” – Certosa Serra San Bruno, 14-17 dicembre 2000. Relazione manoscritta).

 

Una annotazione che ritengo utile: oltre i calvari e le Vie crucis, troviamo frequentemente anche edicole votive alla Madonna e ai santi che caratterizzano la pietà religiosa del nostro popolo. Nel passato predominava il simbolo della croce. Una disposizione del Concilio di Trento, XVI secolo, ordinava che quando una chiesa veniva abbandonata o demolita, perché diruta o destinata ad altro uso conveniente, al suo posto venisse eretta una croce (Cfr. Sess. XXI De Reformatione, cap. VII ss).

 

 

     2.     I CALVARI A CUI QUI FACCIAMO RIFERIMENTO COME SONO REALIZZATI?

In Calabria, generalmente,  il calvario è costituito da una costruzione che ha come modello i polittici degli altari (esempio chiese spagnole, Andalusia), solitamente un trittico, ma gli elementi possono  variare da tre a cinque, su di essi sono raffigurate le scene della Passione e Morte di Cristo.

 

La tipologia architettonica dei calvari è molto varia, come è stato rilevato dai Bagnato, spesso capolavori di maestranze locali (A. Bagnato - S. Bagnato, Calvari del vibonese. Agosto 1989 - novembre 1991, Tropea Magazine 4 settembre 2011):

-c’è  una semplice edicola singola sormontata da una o da tre croci;
-ci sono tre edicole ciascuna sormontata da una croce;
-oppure cinque edicole sormontate da  cinque croci;

-a volte è inserito in un recinto.

 

Ci sono poi delle varianti, come pure novità architettoniche e iconografiche  per il periodo contemporaneo, anche per il valore del materiale utilizzato, bronzo, maioliche, ecc. Alcune sono vere e proprie cappelle con altare, come il  "Calvario" di S. Costantino Calabro o quello di Brattirò, di Presinaci, di San Gregorio, alcuni di questi sono opera  dei noti mastri muratori di San Costantino Calabro ( Cfr. M.Famà, Mastri muratori detti piccoli architetti di San Costantino Calabro VV, edizioni Vallone, San Nicolò di Ricadi 2018).

 

Pregevoli in tanti casi le croci realizzate con artistica originalità in ferro battuto (ma anche in muratura). Quella centrale è spesso munita dei simboli della Passione (gallo, calice, scala, lancia, tenaglia, martello, chiodi).

 

Alcuni interventi di ristrutturazione e abbellimento nel passato, pur in buona fede, hanno alterato o deturpato la caratteristica originaria, che ancora può notarsi in alcuni calvari abbandonati. Ci sono comunque strutture molto belle, per stile e decorazioni, alcune perché conservano l’impronta iniziale, altre perché hanno ricevuto buoni interventi di manutenzione, altri perché realizzati ex novo. Tutt’oggi rappresentano una genuina espressione della pietà del popolo, perché dallo stesso popolo sono curati e amati (qui solitamente non c’è “invadenza clericale”!!).

 

Nell’Anno Santo della Redenzione 1933 il vescovo di Mileto, mons. Paolo Albera, fece il seguente  invito:  «I calvari che in molte parrocchie la pietà dei fedeli ha costruito o alla fine del paese è bene che a ricordo del diciannovesimo centenario della Redenzione siano rinnovati o rifatti; si ravviverà con essi maggiormente il ricordo della redenzione» (Bollettino Ecclesiastico Ufficiale per la Diocesi di Mileto, XV 1933 n. 3), p. 50). Questa notizia può confermare rifacimenti, stile e costruzioni riportabili appunto agli anni ’30, riscontrabili in diversi calvari della nostra diocesi.

 

 
  3. QUALE MESSAGGIO SIMBOLICO POSSIAMO TRARRE?

Non c’è paese in Calabria che non abbia il suo "Calvario", generalmente costruito nelle estremità del centro abitato. Il Direttorio su Pietà popolare e liturgia della Chiesa Cattolica a proposito del linguaggio della pietà popolare sottolinea l’importanza dei luoghi: «Insieme alla chiesa, la pietà popolare ha uno spazio espressivo di rilievo nel santuario – talvolta non è una chiesa -, spesso contraddistinto da peculiari forme e pratiche di devozione, tra cui la più nota è il pellegrinaggio. Accanto a tali luoghi, manifestamente riservati alla preghiera comunitaria e privata, ne esistono altri, non meno importanti, quali la casa, gli ambienti di vita e di lavoro; in date occasioni, anche le strade e le piazze diventano spazi di manifestazione di fede (n.19)».

La collocazione, il luogo dei calvari,  può significare diverse cose:

 

     1.     può certamente fare riferimento al Golgota, che si trovava fuori dalle mura di Gerusalemme.

 

    2.     Costituisce un mezzo, un punto di riferimento visibile,  per l’estrinsecazione della devozione cristiana e per la memorizzazione del rapporto tra i propri peccati e il sacrificio salvifico di Cristo.

 

    3.     “Rivolto verso il paese, presenta spesso una conformazione concava, che conferisce all’insieme architettonico un movimento analogo al gesto dell’ abbracciare”.

 

    4.     Posto al termine del paese, nella maggior parte dei casi è collocato tra l’abitato e il cimitero. L’antropologia culturale su questo offre diverse considerazioni. Scrivono Lombardi Satriani e Meligrana, per esempio, «Il Calvario è tomba esemplare, perché del Morto Esemplare, convoglia e fissa, ponendosi come barriera sacralizzata, le cariche distruttrici di ogni minacciosa presenza errabonda». Tra l’altro, solitamente il  calvario è meta della processione e della predicazione che ha luogo il Venerdì Santo, quando viene portata per le vie del paese la statua di Cristo morto deposto nella bara o vara o varetta  adeguatamente addobbata secondo il rituale funerario, e accanto la Vergine Addolorata.  Così come al calvario, spesso, si sciolgono i cortei funebri. (L. Lombardi Satriani- M.Meligrana, Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud, Rizzoli, Milano 1982, p.42).

 

    5.     Non trascurerei il simbolismo numerico di tre e cinque. Il tre, certamente  è un richiamo all’una e indivisa Trinità, centro del dogma cattolico, ma pure alla nostra natura triplice, nell’unità fisica psichica e spirituale, i nostri tre livelli umani. E’ un numero che ritorna spesso nei Vangeli: il terzo giorno, le tre tentazioni di Cristo, i tre rinnegamenti di Pietro,; ritorna pure nelle ritualità della pietà del popolo…:  Il cinque è il microcosmo umano, richiama i cinque sensi, le cinque piaghe di Cristo, i cinque misteri dolorosi.

 

      4 HA UNA SUA ATTUALITA’ NEL NOSTRO TEMPO?


Certo, riporta a fondamento, quella che papa Francesco chiama la “mistica popolare”, che ha una sua forza evangelizzatrice. E’ il popolo che evangelizza continuamente se stesso, ponendo anche simboli nei luoghi della vita che diventano segnaletica per il Cielo. Nuove forme di Crociate per testimoniare Cristo, lottare nel suo nome, promuovere una civiltà dell’amore che ha in Cristo la fonte e il vertice, l’alfa e l’omega.  Ecco dunque, a mio parere, due  punti fermi di attualità:

 

1.C’è la testimonianza pubblica della fede in Cristo morto e risorto: il kerigma, cioè la Memoria della Passione e Risurrezione di Cristo: il Crocifisso è Risorto e cammina con noi.

 

2. C’è il richiamo visibile alla nostra natura di viandanti, di homo viator. “Il pellegrinaggio non è un camminare errabondi, senza una meta, ma un tendere a un luogo santo e permanere in esso”. Il prossimo Anno Santo ci riporterà a questa verità e identità. Lo avevano capito già i nostri padri, magari analfabeti e ignari della Terra Santa, questo pellegrinaggio sostitutivo in piccolo. A Papaglionti vige ancora l’antica tradizione, nelle prime ore mattutine del venerdì santo,  di compiere da parte dei fedeli  tre itinerari oranti dalla chiesa al calvario.

 

Nei nostri giorni questo sacro monumento, che è il calvario,  si radica nella storia antica e nuova di Mesiano, dalla colonizzazione locrese, ai Pignatelli duca di Monteleone, alla risorta borgata posterremotale sulla strada borbonica,  oggi frazione moderna e sviluppata di Filandari. E prospetta un futuro più umano,  nel nome di Cristo. Abbiamo bisogno di memoria per non morire stupidamente di nichilismo. Papa Francesco, nella sua ultima Lettera enciclica (Fratelli tutti, n.13) ha fortemente ribadito che c’è “una perdita di senso della storia che provoca un’ulteriore disgregazione”. Richiama così  la nostra riflessione sulla gravità della fine della “coscienza storica”. Lo fa usando due parole: decostruzionismo, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero; e svuotamento,  o alterazione delle grandi parole. E il Calvario, che è al vertice, che dice il grido di Dio, ci richiama costantemente le famose “Sette Parole” di cui l’umanità ha sempre bisogno: perdono, vita eterna, accoglienza, fiducia, sete, figliolanza, amen cioè fede!

 

Le tre figure predominanti:

 

1.Cristo crocifisso: il più grande documento dell’amore di Dio. Il Figlio crocifisso per noi.  Non possiamo in quest’anno giubilare del beato Don Mottola non risentire una sua considerazione,  che fa proprio guardando Gesù in croce. Siamo durante la seconda guerra mondiale, e le parole oggi, ritornati in tempi disumani di guerra, hanno un suono di grande attualità:   <<Gesù agonizza sulla croce nuda e nera del Calvario e apre il suo cuore e stende le sue braccia…ci chiede di amarci veramente, amando lui, che è l’infinito amore…Gesù agonizza ancora sulla croce; ma chi lo vede ! Chi se  ne accorge nell’ora triste e grigia che ci avvolge? Gli uomini non hanno più tempo di guardare a lui; non sentono, perché assordati da mille rumori, la sua voce divina>>.

 

2.La Vergine addolorata: qui si fa memoria dei dolori della beata Vergine Maria, del Planctus Mariæ. In lei Desolata si concentra il dolore dell’universo per la morte di Cristo; in lei vediamo la personificazione di tutte le madri che, lungo la storia, hanno pianto la morte di un figlio. Nel suo cuore echeggiano le grandi domande del venerdì santo, che si fanno preghiera: perché il male, perché il dolore innocente, perché la sofferenza? Domande che trovano risposta nella Croce solo se la si guarda nella prospettiva della Risurrezione, solo se in questo calvario è già presente la tomba vuota. Davanti alla scena del calvario, al cuore squarciato di Cristo, al pianto di una Madre,  ogni cuore è coinvolto drammaticamente: le folle scendono dal Golgota percuotendosi il petto, quella morte ha trapassato come spada a doppio taglio le loro coscienze, si pentono di aver peccato respingendo il Messia; il centurione, un pagano,  toccato nel cuore, esclama la prima professione di fede; davvero costui è il figlio di Dio!

 

3.L’evangelista Giovanni: il discepolo amato. L’apostolo vergine e prediletto, il contemplativo dell’amore, che durante l’ultima cena si poggia sul petto di Gesù, si mette all’unisono col suo battitto e non lo abbandona più. Per questa sua fedeltà diventa modello del vero discepolato. Accoglie Maria nella sua casa e ci dice: Volgete il vostro sguardo a colui che hanno trafitto. Dio è Amore. Che metterei come epigrafe ad ogni nostro calvario.

 

***

Il Signore lo ritroviamo veramente sempre e solo nel luogo dove lo abbiamo incontrato e che non può che essere il nostro cuore e ciò che è espressione del nostro cuore, della nostra pietas. Dobbiamo come seguire i ricordi, ri-cor-dare, riportare al cuore, soprattutto quando la notte diventa più buia.  Come? Essenzialmente, pregando, adorando, contemplando…poi viene l’azione. Si parte dalla preghiera, che è l’anima di ogni apostolato. E per questo, principalmente, sono stati pensati e realizzati i nostri calvari, sosta rigenerante sulla strada della vita, segnaletica per il Cielo.

 

 

 


Privacy Policy
Diocesi
Diocesi
Confederazione
Confederazione